“Lentamente, ma sicuramente, mi
sto contaminando."
Satoshi Kurita, 35 anni
Esattamente quattro anni fa, l’11
marzo 2011, il disastro nucleare di Fukushima che si verificò in seguito al
maremoto e allo tsunami, con la fusione dei noccioli di tre reattori della
centrale. L’incidente, come Greenpeace valutò per prima, venne classificato
dall’AIEA (Agenzia internazionale per l’energia atomica) al grado 7, il massimo
grado della scala, prima raggiunto solo dal disastro di Cernobyl.
Dal monitoraggio della radioattività
svolto da Greenpeace risulta che il 59 per cento dei campioni presi in aree
ufficialmente “decontaminate” era ancora oltre la soglia, con i livelli più
alti rilevati lontano dalle strade.
Il lavoro di decontaminazione è servito in
sostanza solamente a “spostare” il problema ma non a liberarsene. Infatti, è un
processo che sembra non conoscere fine. Le colline, le montagne e le foreste
della Prefettura di Fukushima sono fortemente contaminate. Il risultato è che
il materiale radioattivo viene dilavato attraverso i corsi d’acqua e raggiunge
anche aree precedentemente decontaminate. Domina però un silenzio diffuso,
da parte dei media ufficiali su una catastrofe annunciata, infatti i grafici mostrano
l’Oceano Pacifico contaminato da materiale radioattivo, con effetti sulla
catena alimentare e sulla salute umana. Il fisico nucleare Arnie Guderson ha aggiunto che l’Oceano
Pacifico sarebbe ormai contaminato da cose ben peggiori di cesio e stronzio, ovvero
frammenti di esplosioni dai reattori 1 e 3. Di base il fisico afferma che l’Oceano
sarà contaminato per sempre perché non c’è modo di contenere la perdita di
materiale radioattivo nell’oceano.
Attualmente 120 mila
persone non hanno ancora fatto ritorno nelle loro case.
"In Giappone prevale da sempre il
concetto che sia meglio sopportare con dignità le avversità, piuttosto che
approfittarne – spiega l’avvocato Yuichi Kaido, che guida il collegio
difensivo della prima grande class action nella storia del Paese – ma
ora la situazione è diversa. Qui non si tratta di un disastro naturale, come
lo tsunami, ma di un incidente provocato da errori e gravi
omissioni umane. E’ dunque giusto chiedere, oltre che l’accertamento delle
responsabilità, un risarcimento”.
L’aspetto più drammatico è quello della
sempre più diffusa depressione. Alle famiglie costrette ad abbandonare le loro
case, le loro aziende, le loro attività, è stato sempre detto che si trattava di
una situazione temporanea. Ma ora che la realtà è finalmente chiara, e cioè che
il rientro – almeno per certe zone – non sarà possibile, la disperazione comincia
a prendere il sopravvento e a minare il tradizionale ottimismo dei
giapponesi.
Un dato per tutti: mentre a livello nazionale,
negli ultimi tre anni, si è registrato un netto calo dei
suicidi (meno 11%), nella zona di Fukushima sono aumentati.
Dall’aprile 2011, nella prefettura di Fukushima, si sono registrati 1500
suicidi. Certo, non tutti possono e debbono essere legati direttamente
alla tragedia nucleare. Ma è altrettanto legittimo ritenere che il numero
sia più alto dei 54 ufficialmente riconosciuti dalle autorità come
“direttamente legati all’incidente nucleare”.
Il Giappone ha
annunciato di voler gradualmente uscire dal nucleare, e ha già sospeso, ridotto
o messo sotto controllo molte centrali atomiche, in Europa, Germania, Svizzera
e Belgio hanno approvato e stanno perseguendo strategie di uscita dall’energia
atomica. L’Italia, dopo il disastro di Chernobyl, per mezzo di un referendum,
decise nel 1987 di abbandonare l’energia nucleare. Le quattro centrali che
stavano funzionando in quel momento smisero progressivamente di farlo finché,
nel 1990, non rimase nessuna in funzionamento.Il dibattito politico si è riaperto
dopo l'impennata dei prezzi di gas naturale e petrolio negli anni tra il 2005 e
il 2008 e ha condotto alla decisione del Governo di Berlusconi IV di
ripristinare in Italia una capacità nucleare a fini di
elettro-generazione.È stato rilevato che
vi sono state anche pressioni internazionali da parte di Francia e Stati Uniti
per vendere impianti nucleari all'ItaliaL'Italia dei Valori quindi, il 9 aprile 2010 presenta
una proposta di referendum sul nuovo programma
elettronucleare italiano. Svoltosi regolarmente il referendum, all'esito il quesito viene
validamente approvato con un quorum di circa il 54% di votanti
e una maggioranza di oltre il 94%. Le norme inerenti al nucleare del
cosiddetto decreto Omnibus vengono quindi abrogate, determinando
la chiusura del nuovo programma nucleare.
Abbiamo quindi capito
che l'energia nucleare non sia una
fonte di energia sostenibile, perché costituisce un grave rischio per la
sicurezza.
Ci sono anche ragioni
economiche che impediscono nucleare di essere una valida
alternativa per combattere il cambiamento climatico. Nella maggior parte se non
tutti i casi infatti, l'energia nucleare è più costoso rispetto ad altre
opzioni di approvvigionamento energetico.
Per ulteriori info, qui il link www.greenpeace.org/italy/it
Giorgia Papa
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